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Tag: racconto

SAMARA, IL SESTO RACCONTO

La ritualità dei gesti mi conforta e mi guida in piccoli momenti importanti, mi schiarisce le idee nel turbinio di pensieri che precedono quei momenti, per me interminabili, prima di salire sul palco.

A Samara parecchie persone sono rimaste fuori; il concerto era sold out, tutti i biglietti venduti; la televisione locale ha intervistato Gabriele e Marco per parlare del il nostro tour; organizzatori in giacca a cravatta si muovevano tra palco e back stage e c’era una grande energia nell’aria.

Non sempre i momenti prima di suonare sono facili; il tempo assume una identità unica e scorre precisa a blocchi di 5 minuti: mancano 15 minuti, ancora 5 minuti, aspettiamo 15 minuti ancora, 5 minuti ed iniziamo.

Questi eterni 5 minuti li abbiamo passati, in attesa, nella dispensa vicino alla cucina. Bottiglie dappertutto, un contenitore di inox di latte che ho usato come sedia, un frigo con una luce bianchissima e noi ad aspettare, ancora, qualche minuto, forse cinque.
Non ho quasi mai sofferto l’agitazione di essere sul palco con molte persone che ci guardano e ci ascoltano; è strano da dirsi ma è come se appena iniziassi a suonare, mi annullassi totalmente; sparisco tra le note, tra le occhiate di intesa con i ragazzi e tra le teste del pubblico che fanno piccoli movimenti a tempo di musica. Anche quando presento e dico due parole tra un brano e l’altro ho la stessa sensazione di quando parlo con un vecchio amico di sempre.
Mi guardo da fuori: quel ragazzo alto sul palco con una tromba nera che suona non sono io, non scherzo con il pubblico, non guardo fisso negli occhi un vecchio signore con i capelli lunghi grigi e gli occhi a mandorla, non scendo dal palco, ringraziando dopo due bis.
Io sono chiuso in un caldo vortice di note, che poco dopo essere suonate ritornano nel silenzio da dove sono nate. L’alba ed il tramonto, dopotutto, sono la stessa cosa vista da un altro punto di vista.
Finito il concerto, ritorno ad essere in me stesso, contento di potere fare un lavoro così bello e così antico, proprio come il musico viandante che viaggia da corte a corte per far sentire la sua musica.

I momenti prima del concerto invece sono insopportabili per me, ho voglia di suonare ma sono costretto ad aspettare, ovviamente 5 minuti. Proprio in quei momenti, piccoli gesti di ritualità mi aiutano a far passare il tempo: fare due note con la tromba, camminare avanti ed indietro, sedermi per provare a trovare il silenzio da dove far nascere le note. Ogni tanto chiacchieriamo, del più e del meno ma, la mia domanda è sempre la stessa: “ quanto manca ? “ chiedo sornione. Anche la risposta è sempre la stessa e, sempre con un sorriso, mi dicono “tranquillo, iniziamo tra cinque minuti”.

Foto scattata da Davide Menarello
Racconto scritto da Luca Benedetto

Grazie al contributo di MiBACT | SIAE nell’ambito del programma “Per chi Crea”

Samara, il quinto racconto

L’occhio di un fotografo talentuoso (come Davide Menarello ça va sans dire) riesce a fare parlare le immagini che cattura.

La cucina del club di Samara ha due identità differenti:
l’accoglienza del pre cucina: un luogo caldo, accogliente e sospeso nel tempo. Ci sono giacche appese al muro che aspettano di avvolgere cuochi e camerieri a fine turno; sopra alla cerata ci sono delle tazze piene di di te o caffè contenuto nel thermos al bordo del tavolo; vicino al thermos, un cellulare bianco con lo schermo rivolto verso il basso, fa il pieno di energia.

L’interno della cucina è frenetico, intimo e tutto pulitissimo. Una ragazza aggiunge delle spezie ad una zuppa che sobbolle sui fuochi della cucina in inox lucidissima. Gli ingredienti sono racchiusi in contenitori ermetici, ben catalogati ed ordinati; sembra quasi un negozio di dischi.

La mattina le cucine custodiscono i segreti della notte. L’orologio del forno illumina ad intermittenza utensili, fornelli, frullatori, frighi, padelle e piatti, tutti in attesa di iniziare a lavorare: pelare barbabietole di un borsch, riempire di carne stufata vareniki, friggere bliny dorati.

La sera le cucine si trasformano in corti affollate. Cuoche danno ordini, seguono le comande appese al muro, spadellano e fanno la predica a qualche aiuto cuoco sbadato. A vederli da fuori sembra la dea Kali (quella con tante braccia) che balla il tip tap su carboni ardenti.
Dea del proprio regno che distribuisce cibo convivialità e condivisione. Prima ballerina del corpo di danza che guida le coreografie perfette di antipasti, primi, secondi e dolci.

La notte la cucina diventa il regno dei lavapiatti. Dopo il servizio serale è suo compito portare la cucina allo splendore e alla pulizia originaria. Mentre pulisce e lava lo si vede ballare a ritmo di musica, lo si sente cantare con un mestolo di legno usato come fosse un microfono, è lui ora il Re indiscusso del suo regno, riporta la pace dopo la guerra, l’ amore dopo il litigio e la libertà dopo la reclusione.

Foto scattata da Davide Menarello
Racconto scritto da Luca Benedetto

Penza, il quarto racconto

Non ho mai visto così tanti tipi di ghiaccio come in Russia.

Mi sforzo di pensare ai tipi di ghiaccio che si trovano in Italia e mi vengono in mente : quello che metti nello Spritz a forma di cubetti, quello che ti si forma sul vetro della macchina e sei costretto a togliere di mattina prima di andare al lavoro (è la mia classica scusa quando arrivo in ritardo), poi c’è quello che si forma sull’erba le mattine d’inverno (in realtà è brina quindi, via dall’elenco!), c’è anche il ghiaccio che si forma sull’asfalto e sei obbligato a rallentare così tanto che qualche volta ti superano anche i ciclisti, c’è poi il ghiaccio all’interno del freezer che mi ricorda che dovrei scongelarlo prima o poi.

In Russia ci sono tanti tipi di ghiaccio; molti di questi in Italia non li ho mai visti.

Sulla transiberiana ad ogni stazione c’è l’addetto rompighiaccio-togli neve. Quasi sempre è piccolino con un lungo martello in mano. Ha un pesante cappotto e un colbacco con una spilla con il simbolo della ferrovia statale russa: una chiave inglese che si incrocia con un martello, che ricorda il simbolo più famoso dell’unione sovietica.

Martella il ghiaccio attorno alle ruote e vicino agli ingranaggi del treno.
Capisci di essere arrivato in stazione innnzitutto dal rumore del martello sul ghiaccio dell’addetto rompighiaccio-togli neve.
Il ghiaccio che mi ha più colpito, è però quello su cui non si scivola. Si trova sopra le strade e, avendo assorbito tutto lo smog e la polvere, è di un colore grigio, quasi nero.

In questi giorni di chiusura e attesa ci sentiamo spesso scivolare e qualche volta ci manca la fantasia e la sensazione di sicurezza. Io penso al ghiaccio Russo, quello di colore grigio quasi nero. Lì sopra , anche se sembra impossibile e paradossale, ci si sente con i piedi ben saldi al terreno; vi assicuro che non si scivola.

Foto scattata da Davide Menarello
Racconto scritto da Luca Benedetto

Penza, il terzo racconto

La convivialità di una cena. Vicino al cassetto delle magliette, all’interno dell’armadio a muro, c’è l’angolo dei vestiti buoni.

L’angolo dei vestiti buoni è separato dagli altri; giacche eleganti, pantaloni di velluto, camicie stirate alla perfezione, un panciotto di lana e un paio di cinture di pelle attendono pazienti di essere convocati per la convivialità di una cena importante; i protagonisti pendenti, confezionati in cotone, velluto , lana e pelle sono quasi tutti protetti da custodie per abiti di plastica trasparente.

Appena prima di iniziare il concerto a Penza, Davide ha immortalato questo sguardo. Non sappiamo le storie delle due persone sedute. Sul tavolo ci sono due bicchieri di vino rosso, uno davanti al signore e l’altro davanti alla ragazza in un posto apparecchiato ma senza nessuno, poi c’è un piatto di insalata ancora da mangiare.

Hanno ascoltato tutto il concerto, hanno comprato il disco, ci hanno richiesto l’autografo, ci hanno ringraziato e sono andati via.
La bottiglia di vino e il piatto di insalata erano finiti, la sedia davanti alla ragazza è rimasta vuota, con il bicchiere di vino rosso intonso; forse aspettavano qualcuno che non è arrivato.

Mentre uscivano ho notato che entrambi avevano una giacca elegante, sicuramente uscita da qualche angolo dei vestiti buoni. Forse entrambe le giacche provengono da due armadi diversi, ognuno con abiti differenti ma tutti in attesa di essere convocati per una serata conviviale.

Forse, dopo stasera, entrambe le giacche condivideranno lo stesso angolo dei vestiti buoni.

Foto di Davide Menarello
Racconto di Luca Benedetto

Mosca, il secondo racconto

Amo i negozi di dischi; sopratutto quelli grandi dove ti perdi tra gli scaffali e, per raggiungere i dischi posti nei ripiani più alti, devi salire su uno scalino di plastica bianca.

Amo ancora di più i negozi di dischi usati, ogni disco, oltre a contenere la storia narrata dalle note delle proprie melodie, ne nasconde altre : ceduto per racimolare qualche soldo, dato al negoziante per disfarsi di qualche ricordo doloroso, usato come merce di baratto.; per raggiungere i dischi posti nei ripiani più alti devi salire su uno scalino di plastica gialla.

Quello che mi colpisce è l’ordine e la catalogazione precisa. Prima viene il genere musicale poi l’ ordine alfabetico e, in caso il musicista abbia fatto più dischi, l’ anno di pubblicazione.

In questi giorni di quarantena, il tempo scorre lento e, preso dalle migliori intenzioni ho messo ordine alla collezione dei miei dischi. Volevo catalogarli come i negozi di dischi, quelli che amo. Genere, ordine alfabetico e anno di pubblicazione. Nonostante abbia avuto le migliori intenzioni, non sono riuscito a essere preciso. Ho creato però una sezione a se: dischi acquistati in viaggio con i Satoyama in negozi di cd usati.

A Mosca, in quel negozio di dischi di seconda mano, il tempo si è fermato come è fermo ora. Siedo ora sul divano e ascolto le note che escono dalla tromba di Don Cherry.

A chi sarà appartenuto questo disco ? Ad uno studente che aveva bisogno di racimolare qualche soldo ? Forse un vedovo anziano che ascoltava le melodie di quel disco con la moglie ? Oppure a qualche musicista che lo ha barattato con un disco dei Pink Floyd ?

Foto di Davide Menarello
Racconto di Luca Benedetto

Mosca, il primo racconto

Due pecore ed un agnello pascolano in un grande prato. Da loro mi divide: un muretto a secco in pietra, un cancello automatico senza elettricità, una staccionata di legno, un altro cancello di ferro battuto azzurro, due piani di scale e una porta.

Assieme a Gabriele, Marco, Christian, Davide e Fabio (e migliaia di italiani) sono in quarantena, ognuno nelle proprie case, ognuno che guarda fuori dalle proprie finestre per aspettare il giorno in cui potrà uscire.

Ho sempre pensato che le pecore si muovessero sempre in gruppo, dove va una tutte le altre, invece queste tre sono sparse nel prato enorme, ogni tanto l’agnello si avvicina per avere il latte dalla madre,ma poi si allontana di nuovo e va a brucare l’erba in un’altra punto del prato. Ho sempre sbagliato.

Effettivamente è un pregiudizio, ragiono.

I pregiudizi sono fatti per essere sgretolati tramite l’esperienza e le conoscenze che si fanno; così è successo in Russia; tutti i pregiudizi che avevo si sono pian piano sgretolati, giorno dopo giorno, persona dopo persona, paesaggio dopo paesaggio, lentamente a bordo di un treno.

Foto di Davide Menarello
Racconto di Luca Benedetto

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